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TESTI PER LA RIFLESSIONE - Giovedì Santo

ATTENZIONE! Qui di seguito trovate molti testi utili in questo giovedì santo per la riflessione e preghiera personale. Sono tantissimi! Non fate l’errore di divorarli tutti! Gustateli, anzi, ne basta anche uno solo! Trovate quello che vi fa sentire a vostro agio, e al contempo vi scomoda! Ruminatelo dentro, e lasciate che accompagni la preghiera di questa giornata.


Accanto al fonte della vita nuova, la Pasqua ci consegna anche un catino d'acqua sporca. Ne ha fatto uso il maestro e nessuno ancora lo ha tolto dalla tavola curandosi di svuotarlo. I discepoli intimoriti, tornando al cenacolo, si sono abbracciati attorno a questa icona del servizio lasciandola lì nel bel mezzo delle loro incerte discussioni.

[…] Quando mi domando come sia possibile far innamorare un giovane di Gesù Cristo mi viene in mente la reliquia del catino...

Quel catino è la freschezza di un uomo che quando è a tavola non ce lo si può trattenere seduto a lungo. L'ultima cena non si è risolta nell'ultima abbuffata: quell'Eucarestia ha nutrito i cuori ma non ha appesantito i corpi perché Gesù si è alzato per lavare i piedi come un servo.

Il catino con l'acqua sporca ci invita chiaramente a metterci scomodi prendendoci cura degli altri senza indugiare alla "tavola delle lunghe discussioni", senza intrattenerci in quei festeggiamenti dello "stiamo bene tra noi" che odorano di tradimento.

(Don Tonino Bello)


 

Se dovessi scegliere una reliquia della tua Passione

prenderei proprio quel catino colmo d’acqua sporca. Girare il mondo con quel recipiente e ad ogni piede cingermi dell’asciugatoio e curvarmi giù in basso, non alzando mai la testa oltre il polpaccio per non distinguere i nemici dagli amici e lavare i piedi del vagabondo, dell’ateo, del drogato, del carcerato, dell’omicida, di chi non mi saluta più, di quel compagno per cui non prego mai, in silenzio, finché tutti abbiano capito nel mio il tuo Amore.

(Madeleine Delbrel)

 

Il mistero [dell’Eucaristia] che questa sera celebriamo è un mistero di unificazione, di unità mistica ed umana. Miei Fratelli e miei Figli, né le parole né il tempo bastano per dire a noi stessi la pienezza di questo momento: qui è la celebrazione dell’uno e dei molti, qui è la scuola dell’amore superiore degli uni per gli altri, qui è la professione della stima reciproca, qui è l’alleanza della collaborazione vicendevole, qui è l’impegno del servizio gratuito, qui è la ragione della tolleranza sapiente, qui è il precetto del mutuo perdono, qui è la fonte del gaudio per l’altrui fortuna e del dolore per l’altrui sventura, qui è lo stimolo a preferire il dono da dare a quello da ricevere, qui è la sorgente della vera amicizia, qui è l’arte di governare servendo e di obbedire volendo, qui è la formazione ai rapporti sinceri e cortesi fra gli uomini, qui la difesa della personalità rispettata e venerata, qui l’armonia degli spiriti liberi e docili, qui la comunione delle anime, qui la carità.

(tratto da una «Omelia» di papa Paolo VI, Giovedì santo del 1964)

 

Cristo non ha scritto nulla. Eppure esiste un libro di cui Cristo è l’autore, ed egli è il solo a poterlo scrivere: in esso, riassunta in due segni, il pane e il vino, è racchiusa l’intera teologia. È l’Eucaristia, meraviglia della grazia e miracolo della teologia. Nel linguaggio eucaristico il segno è pieno della realtà significata, trasmessa nella sua vivente verità. Colui che ama vorrebbe scrivere lettere tali che siano in grado di portare alla persona amata quello stesso che scrive; nessuno lo potrà mai fare! Ma Cristo è un autore unico, e il suo linguaggio eucaristico è unico: in questo suo libro egli si fa leggere consegnandosi. Perciò la scienza cristiana non è riservata a una cerchia di iniziati. Ogni domenica Dio la dispensa al suo popolo.

(François-Xavier Durrwell)

 

In effetti, nessuno ha mai visto Dio così come Egli è in se stesso. E tuttavia Dio non è per noi totalmente invisibile, non è rimasto per noi semplicemente inaccessibile. Dio ci ha amati per primo, dice la Lettera di Giovanni citata e questo amore di Dio è apparso in mezzo a noi, si è fatto visibile in quanto Egli «ha mandato il suo Figlio unigenito nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui ». Dio si è fatto visibile: in Gesù noi possiamo vedere il Padre. Di fatto esiste una molteplice visibilità di Dio. Nella storia d'amore che la Bibbia ci racconta, Egli ci viene incontro, cerca di conquistarci — fino all'Ultima Cena, fino al Cuore trafitto sulla croce, fino alle apparizioni del Risorto e alle grandi opere mediante le quali Egli, attraverso l'azione degli Apostoli, ha guidato il cammino della Chiesa nascente. Anche nella successiva storia della Chiesa il Signore non è rimasto assente: sempre di nuovo ci viene incontro — attraverso uomini nei quali Egli traspare; attraverso la sua Parola, nei Sacramenti, specialmente nell'Eucaristia. Nella liturgia della Chiesa, nella sua preghiera, nella comunità viva dei credenti, noi sperimentiamo l'amore di Dio, percepiamo la sua presenza e impariamo in questo modo anche a riconoscerla nel nostro quotidiano. Egli per primo ci ha amati e continua ad amarci per primo; per questo anche noi possiamo rispondere con l'amore. Dio non ci ordina un sentimento che non possiamo suscitare in noi stessi. Egli ci ama, ci fa vedere e sperimentare il suo amore e, da questo «prima» di Dio, può come risposta spuntare l'amore anche in noi.

(Benedetto XVI, Deus Caritas Est, n 17)

 

Che tutto in me sia Amore.

Che la fede, sia l'Amore che crede.

Che la speranza, sia l'Amore che attende.

Che l'adorazione, sia l'Amore che si prostra.

Che la preghiera, sia l'Amore che t'incontra.

Che la fatica, sia l'Amore che lavora.

Che la mortificazione, sia l'Amore che s'immola.

Che soltanto il tuo amore, o Dio,

diriga i miei pensieri,

le mie parole e le mie opere.

Amen.

(Beata Elena Guerra)

 

Egli ha assunto la morte; dunque la morte deve essere qualche cosa di più di un tramonto nel vuoto assurdo. Egli ha assunto di essere abbandonato; dunque la tetra solitudine deve racchiudere in sé anche la promessa di una felice vicinanza divina. Egli ha assunto la mancanza di successo. Dunque la sconfitta può essere una vittoria. Egli ha assunto di essere abbandonato da Dio. Dunque Dio è vicino anche quando noi pensiamo di essere da Lui abbandonati. Egli ha assunto tutto, dunque tutto è redento.

(Karl Rahner)

 

È finita. Lo sa bene, il Maestro. Ha fatto di tutto per convertire il cuore degli uomini, il cuore del suo popolo. cosa gli resta da fare? È finita. Gesù, come accade anche a noi, sperimenta il limite, misura la fragilità, pesa il rifiuto dell'uomo. Che ce ne facciamo di un Dio che dialoga? Che ci lascia liberi di scegliere? Che ce ne facciamo di un Dio che rifiuta le regole per chiedere di amare, e amare non può restringersi nell'alveo ristretto di un codice? Che ce ne facciamo di un Dio che ci chiama "amici", costringendoci a schierarci? È finita. Lo sa bene Giuda, l'unico fra i dodici che ha davvero capito cosa stia succedendo, l'unico che cerca un'ultima, disperata soluzione. È finita. Gesù si ritrova, solo, a decidere sul da farsi. Andarsene? Mollare tutto? Arrendersi all'evidenza? No. In quella cena che diventa pasquale Gesù va oltre, si dona, si consegna alla nostra assordante indifferenza. Quella cena che rifacciamo, in obbedienza. Quella cena che è la prima, quella da cui tutto nasce. Quella cena che oggi rifaremo, con fede, silenzio, adoranti. Siamo qui a misurare l'amore di Dio e ne siamo travolti. Ecco, Dio si dona in un pezzo di pane.

Signore, non permettere

che ti portiamo fuori da noi stessi,

scuotici quando ti chiudiamo nei tabernacoli

senza portarti nel mondo,

irrompi con la tua Parola,

quando ti teniamo fuori dai nostri problemi,

dalle nostre solitudini,

dalle nostre difficoltà.

Facci capire che ci sei più intimo

che noi a noi stessi.

(Paolo Curtaz)

 

Gesù si inginocchia, dopo essersi cinto le vesti, e lava i piedi ai discepoli. Perchè proprio i piedi? Qualche ora dopo Pilato si laverà le mani, e ancora prima Giuda avrà sicuramente tentato di lavarsi la bocca da quel bacio dannato che aveva dato al maestro nell’orto degli ulivi. Gesù sceglie i piedi. Forse lo fa perchè sotto la pianta dei piedi della gente è archiviata la strada che hanno fatto. Dove è andata, in quale pozzanghera è caduta, che sentieri faticosi ha percorso o quanta erba fresca ha calpestato. I piedi sono il simbolo di tutto quello che percorriamo con la nostra vita.

Lavarli significa liberarsi di tutta quella terra, molto spesso fatta di dolore, che ci è rimasta attaccata addosso. Solo quando uno ha preso questa distanza significativa dalla propria storia, può sedersi a tavola con Gesù ed ascoltarlo; diversamente continuerà a tenere il pensiero a quella terra, a quel dolore, a quelle pietre conficcate nella carne, e non ci sarà tempo per accorgersi di nient’altro se non dei propri piedi. Non ci saranno tramonti o panorami, volti o amori, speranze o silenzi, colori o musiche. Tutta l’attenzione sarà sempre fissa su questo archivio segreto relegato in fondo al nostro corpo, in quella parte che tocca la terra con tutto il peso del resto del corpo, della testa innanzitutto ma anche del cuore…Gesù libera i discepoli da un’attenzione sbagliata e li abilita a sentire, vedere, accorgersi, mangiare, gustare, piangere.

E’ interessante come il maestro ci tenga a dire “lavatevi i piedi gli uni gli altri”. Cioè il cristianesimo è mettersi in ginocchio davanti ai piedi degli altri e non ai nostri. La fede in Gesù la si consuma solo a vicenda e mai nella solitudine. Lasciarsi lavare i piedi e lavare i piedi agli altri…Volesse il cielo che ci riprendessimo questa vocazione primordiale a liberare gli altri dalla sporcizia della terra che hanno calpestato. Dalla pece oscura del dolore che non si stacca più dalla carne. Dalle ferite profonde di chi è stato tradito o ha dovuto svoltare repentinamente per altre vie a causa di forze maggiori.

Se non ci carichiamo della storia degli altri e non lasciamo che gli altri facciano altrettanto con noi, allora non siederemo mai a tavola. Non sperimenteremo mai la vertigine dell’amicizia, dell’intimità, delle parole sussurrate, della nostalgia, degli sguardi, dell’intesa. Ma avvertiremo solo la paura, la frustrazione, la rabbia, il rancore, l’insicurezza per tutto quello che ci è capitato. “Gli disse Pietro: «Tu non mi laverai i piedi in eterno!». Gli rispose Gesù: «Se non ti laverò, non avrai parte con me». Gli disse Simon Pietro: «Signore, non solo i miei piedi, ma anche le mani e il capo!».”

(Don Luigi Maria Epicoco)

 

Tutto era pronto, mancava solo un gesto. L'ultimo. Che cosa deve fare chi sa che di lì a poco morirà? Se ama qualcuno che ha qualcosa da lasciargli deve dettare il testamento. Noi ci facciamo portare della carta e una penna. Gesù Cristo va a prendere un catino, un asciugatoio e versa dell'acqua in un recipiente. Il testamento inizia qui; con l'ultimo piede asciugato potrebbe addirittura finire. Con il capo chino su di un misero foglio noi scriviamo: "Lascio la mia casa, i miei poderi...". Gesù, curvo a squadernare il pavimento, immerge dentro l'acqua i piedi dei suoi amici. Cristo è all'opera rattrappito come una bestia ad accarezzare i nostri piedi callosi, a scrutare le nostre impoetiche unghie, ad annusare i nostri odori più scrostati. Si concede il lusso divino di umiliarsi.

Alzatosi dopo aver bagnato i piedi di quella ciurma di amici, lascia che i suoi occhi corrano vagabondi sopra la tovaglia della mensa, fra i rimasugli di pane: ecco il suo nascondiglio. Là si andrà a rifugiare. Non lo prenderanno stanotte: crederanno di averlo preso, strappato all'amicizia di Pietro e compagni: lui si è ficcato dentro quel pane: "Questo è il mio corpo, il quale è stato dato per voi". Nessuno aveva mai avuto il coraggio di raccontarci un Dio che chiede di essere mangiato, che chiede che i loro petti diventino il suo nascondiglio. Poco fa ha lavato loro i piedi, adesso non gli basta chiede di più: scenderà nelle loro gole, si trasformerà fino a sciogliersi nelle loro fibre. Fino a trasformarsi in un comando: "Fate questo in memoria di me". Uomini non più uomini quei Dodici: uomini trasformati in sacerdoti, i primi sacerdoti dell'umanità. Giuda, il primo dei cattivi preti. Pescatori infaticabili, esattori malfamati, gente sconosciuta, ignoti accarezzati da un raggio di divina Bellezza: Simone, Giacomo di Zebedeo, Giovanni, Andrea, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso, Giacomo di Alfeo, Taddeo, Simone il Cananeo e Giuda Iscariota. Primi, di un'innumerevole famiglia. Cosa importano i loro tradimenti, le loro miserie, le loro cadute? "La grande gloria della Chiesa - scrisse magnificamente Jacques Maritain - è d'esser santa nonostante i membri peccatori". Sino alla fine del mondo, sino a quando le mani di alcuni uomini eletti innalzeranno l'Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo.

Dovessi scegliere una reliquia della passione, andrei a pescare tra i flagelli e le lance quel catino di acqua sporca. Girare il mondo con quel recipiente sotto il braccio, guardare solo i talloni della gente, non alzare gli occhi oltre i polpacci così da non distinguere il volto delle persone. Questi sono gli uomini che ha creato il Giovedì Santo, questi sono i primi preti che mai come oggi appaiono una sorprendente stonatura. Non più privilegi umani: la castità, la solitudine, più spesso l'odio, lo scherno e, soprattutto, l'indifferenza di una società che sembra non aver più posto per essi: ecco la bella parte che ci siamo scelti. Disposti a giocarsi la vita fino in fondo perché un giorno risuonò nel mondo addormentato una promessa che sfiorava il ridicolo: "Chi salverà la sua vita la perderà, e chi la perderà per causa mia, la ritroverà". Tra i dodici c'era anche Giuda.

(Don Marco Pozza)

 

Lo specifico del cristiano non è amare, lo fanno già molti, in molti modi, sotto tutti i cieli. Bensì amare come Gesù. Non quanto lui, impossibile per noi vivere la sua misura, ma come, con lo stile unico di Gesù, con la rivoluzione della tenerezza combattiva, con i capovolgimenti che ha portato. Libero e creativo, ha fatto cose che nessuno aveva fatto mai: se io vi ho lavato i piedi così fate anche voi, fatelo a partire dai più stanchi, dai più piccoli, dagli ultimi. Gesù ama per primo, ama in perdita, ama senza contare. Venuto come racconto inedito della tenerezza del Padre. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri. «Non basta essere credenti, dobbiamo essere anche credibili» (Rosario Livatino). Dio non si dimostra, si mostra. Ognuno deve farsi, come Lui, racconto inedito del volto d'amore di Dio, canale non intasato, vena non ostruita, attraverso la quale l'amore, come acqua che feconda, circoli nel corpo del mondo.

(Padre Ermes Ronchi)

 

Ci troviamo in quell'"ora" di Gesù di cui parla il Vangelo di Giovanni. Mediante l'Eucaristia questa sua "ora" diventa la nostra ora, presenza sua in mezzo a noi. Insieme con i discepoli Egli celebrò la cena pasquale d'Israele, il memoriale dell'azione liberatrice di Dio che aveva guidato Israele dalla schiavitù alla libertà. Gesù segue i riti d'Israele. Recita sul pane la preghiera di lode e di benedizione. Poi però avviene una cosa nuova. Egli ringrazia Dio non soltanto per le grandi opere del passato; lo ringrazia per la propria esaltazione che si realizzerà mediante la Croce e la Risurrezione, parlando ai discepoli anche con parole che contengono la somma della Legge e dei Profeti: "Questo è il mio Corpo dato in sacrificio per voi. Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio Sangue". E così distribuisce il pane e il calice, e insieme dà loro il compito di ridire e rifare sempre di nuovo in sua memoria quello che sta dicendo e facendo in quel momento.

Che cosa sta succedendo? Come Gesù può distribuire il suo Corpo e il suo Sangue? Facendo del pane il suo Corpo e del vino il suo Sangue, Egli anticipa la sua morte, l'accetta nel suo intimo e la trasforma in un'azione di amore. Quello che dall'esterno è violenza brutale - la crocifissione -, dall'interno diventa un atto di un amore che si dona totalmente. È questa la trasformazione sostanziale che si realizzò nel cenacolo e che era destinata a suscitare un processo di trasformazioni il cui termine ultimo è la trasformazione del mondo fino a quella condizione in cui Dio sarà tutto in tutti (cfr 1 Cor 15, 28). […] Questa prima fondamentale trasformazione della violenza in amore, della morte in vita trascina poi con sé le altre trasformazioni. Pane e vino diventano il suo Corpo e Sangue. A questo punto però la trasformazione non deve fermarsi, anzi è qui che deve cominciare appieno. Il Corpo e il Sangue di Cristo sono dati a noi affinché noi stessi veniamo trasformati a nostra volta. Noi stessi dobbiamo diventare Corpo di Cristo, consanguinei di Lui. Tutti mangiamo l'unico pane, ma questo significa che tra di noi diventiamo una cosa sola. L'adorazione, abbiamo detto, diventa unione. Dio non è più soltanto di fronte a noi, come il Totalmente Altro. È dentro di noi, e noi siamo in Lui. La sua dinamica ci penetra e da noi vuole propagarsi agli altri e estendersi a tutto il mondo, perché il suo amore diventi realmente la misura dominante del mondo. […] L'ora di Gesù è l'ora in cui vince l'amore. In altri termini: è Dio che ha vinto, perché Egli è l'Amore. L'ora di Gesù vuole diventare la nostra ora e lo diventerà, se noi, mediante la celebrazione dell'Eucaristia, ci lasciamo tirare dentro quel processo di trasformazioni che il Signore ha di mira. L'Eucaristia deve diventare il centro della nostra vita.

(Benedetto XVI, GMG Colonia, 21 agosto 2005)

 

Devi amare senza aspettative, fare qualche cosa per l’amore fine a se stesso, non per quello che ne potrai ricevere in cambio. Se ti attendi qualche forma di ricompensa, non è l’amore: l’amore vero è amare senza condizioni e senza aspettative. Dobbiamo crescere nell’amore, e per farlo dobbiamo continuare ad amare e amare e a dare e dare finché non ci fa male – come ha fatto Gesù. Fare cose ordinarie con straordinario amore: piccole cose, come assistere i malati e i senzatetto, chi è solo o non è stato desiderato, lavare e pulire per loro. Di sicuro, l’amore si esprime in primo luogo nello stare con qualcuno, piuttosto che nel fare qualcosa per qualcuno. Bisogna tenerlo sempre presente, perché è facile farsi prendere dalle troppe cose che possiamo fare per gli altri- se le nostre azioni non nascono prima di tutto dal desiderio di stare con una persona, si riducono davvero solo ad assistenza sociale. Quando hai il desiderio di stare con una persona povera, puoi renderti conto delle sue esigenze e se il tuo amore è autentico, è naturale che tu desideri fare quello che puoi per esprimerlo. Il servizio, in un certo senso, è semplicemente un mezzo per manifestare l tuo essere per quella persona. Guarda cos’ha fatto Gesù nella sua vita sulla terra! L’ha passata tutta a fare del bene. Ricordo sempre alle sorelle che i tre anni della vita pubblica di Gesù sono stati dedicati ad assistere i malati, i lebbrosi, i bambini; ed è esattamente quanto facciamo noi, che predichiamo il Vangelo mediante le nostre azioni. Per noi, servire è un privilegio e quello che cerchiamo di dare è un servizio vero, offerto con tutto il cuore. Ci rendiamo conto che quello che facciamo è solo una goccia nell’oceano, ma l’oceano senza quella goccia sarebbe più piccolo.

(Dagli scritti di Madre Teresa di Calcutta)

 

Ai parrocchiani di S. Bernardino di Molfetta

Carissimi,

sono stato colpito dalla scritta collocata sopra il crocifisso ligneo della vostra splendida chiesa: Charitas sine modo.

È un latino semplice, che vuol dire: amore senza limite. Anzi, per essere più fedeli alle parole, bisognerebbe tradurre così: amore senza moderazione. Smodato, sregolato. Amore senza freni, senza misura, senza ritegno.

A me sembra che la frase racchiuda in modo eloquente il messaggio essenziale di quei giorni. Sarei davvero molto contento se l’unico frutto della visita pastorale consistesse nell’aver richiamato la vostra attenzione su questo straordinario manifesto programmatico della vita cristiana. Anzi, volesse il cielo che, ogniqualvolta uscite dalla chiesa, non vi sentiste affidare da Gesù Cristo nessun’altra consegna che questa: Charitas sine modo. Amore senza misura.

Disposto, cioè, a giocare in perdita per il bene del prossimo. Felice di pagare prezzi da capogiro pur di salvare una sola vita umana. Capace di raggiungere perfino il più indisponente nemico. Deciso a scavalcare le lusinghe della violenza, anche quando c’è da recuperare un sacrosanto diritto.

(Don Tonino Bello)

 

L’invito del Signore e il suo desiderio di accoglierci al suo banchetto non devono essere mortificati dal senso del dovere, dall’abitudine che ci rende, a volte, obbedienti, ma privi di gioia, di stupore, di gratitudine ad un Dio che si dona a noi. È difficile animare una assemblea che si riunisce senza il desiderio. Ma se hai addirittura desiderato l’incontro, sapevi che cos’era ed hai scelto di esserci, il desiderio amplifica la possibilità della comunione, la triplica. Il desiderio è la forza più grande dei passi di libertà di una persona.

(don Franco Brovelli)

 

Egli mi prese nelle sue mani.

Ringraziò il Padre.

Mi benedisse, mi spezzò, mi donò.

(Elena da Persico)

 

Parlo per paradosso: ma ben venga il momento in cui si è costretti, finalmente, a capire che nostro Signore Gesù Cristo non lo si può accettare così come si accetta il cognome di tuo padre e di tua madre e le usanze del tuo paese. E' un rapporto d'amore! Ci si fidanza per amore, mica per tradizione; ci si fidanza per conoscenza personale, per attrazione personale, perché hai soppesato che quello è fatto per te e quella è fatta per lui. Ci si fa preti e religiosi mica per comando di padre e di madre: per un innamoramento interiore! Io vado dicendo, soprattutto ai sacerdoti, che occorre preparare una generazione di ragazzi innamorati di nostro Signore Gesù Cristo. Io sono felice, sapete, di essere nato in questo tempo, peccato che non sono giovane abbastanza, ma vado dicendo che sono fortunati i ragazzi che si trovano ad avere diciassette anni oggi. Finisce il cristianesimo dell'abitudine, e incomincia per forza di cose il cristianesimo dell'innamoramento, dell'ammirazione, dello stupore per nostro Signore Gesù Cristo che, quando ti ha preso ti ha cambiato la vita. E' come quando non ci vedevi e, all'improvviso, ti hanno tolto le bende e puoi gridare: Ci vedo, ci vedo, ci vedo ...

(card. Ersilio Tonini)

 

Appena ebbi creduto che un Dio esiste,

capii che non potevo lare altro che vivere per lui solo.

Dio è tanto grande, c'è tanta differenza tra Dio e tutto ciò che non è lui

(Charles de Foucauld)

 

Tardi ti ho amato, bellezza così antica e così nuova, tardi ti ho amato. Tu eri dentro di me, e io fuori. E là ti cercavo. Deforme, mi gettavo sulle belle forme delle tue creature. Tu eri con me, ma io non ero con te. Mi tenevano lontano da te quelle creature che non esisterebbero se non esistessero in te. Mi hai chiamato, e il tuo grido ha squarciato la mia sordità. Hai mandato un baleno, e il tuo splendore ha dissipato la mia cecità. Hai effuso il tuo profumo; l'ho aspirato e ora anelo a te. Ti ho gustato, e ora ho fame e sete di te. Mi hai toccato, e ora ardo dal desiderio della tua pace.

(Sant’Agostino)

 

Sono arrivato alquanto tardi a dare a Gesù Cristo il posto centrale ch'egli occupa oggi nel mio pensiero e nella mia vita ... Oggi, dopo aver molto riflettuto e predicato ... Gesù Cristo è la luce, il calore e - attraverso il suo Spirito Santo - il moto della mia vita. Egli mi interroga ogni giorno, e ogni giorno mi impedisce di arrestarmi: il suo Vangelo e il suo esempio mi strappano alla tendenza istintiva che mi terrebbe legato a me stesso, alle mie abitudini, al mio egoismo. Ed esperimento la verità di questa frase di Ibn Arabi: "Colui la cui malattia si chiama Gesù, non può guarire".

(Yves Congar, teologo)

 

E Pietro disse: Disprezzatemi pure. Ma quel che non volete capire e che purtroppo io, forse, non riuscirò a farvi intendere, è che si può nello stesso tempo credere e tradire, amare e rinnegare … sì! Sì! Ve lo dico io che si può! L'amavo, io, mentre dicevo nel cortile del palazzo di Anna: "Non l'ho mai visto … non lo conosco" … L'amavo sempre! L'abbandonai. Eppure - dovete credermi - gli volevo ancora bene: credevo che era il messia".

(Diego Fabbri)

 

O Cristo, nostro unico mediatore, Tu ci sei necessario: per vivere in Comunione con Dio Padre; per diventare con te, che sei Figlio unico e Signore nostro, suoi figli adottivi; per essere rigenerati nello Spirito Santo.

Tu ci sei necessario, o solo vero maestro delle verità recondite e indispensabili della vita, per conoscere il nostro essere e il nostro destino, la via per conseguirlo.

Tu ci sei necessario, o Redentore nostro, per scoprire la nostra miseria e per guarirla; per avere il concetto del bene e del male e la speranza della santità; per deplorare i nostri peccati e per averne il perdono.

Tu ci sei necessario, o fratello primogenito del genere umano, per ritrovare le ragioni vere della fraternità fra gli uomini, i fondamenti della giustizia, i tesori della carità, il bene sommo della pace.

Tu ci sei necessario, o grande paziente dei nostri dolori, per conoscere il senso della sofferenza e per dare ad essa un valore di espiazione e di redenzione.

Tu ci sei necessario, o vincitore della morte, per liberarci dalla disperazione e dalla negazione, e per avere certezze che non tradiscono in eterno.

Tu ci sei necessario, o Cristo, o Signore, o Dio-con-noi, per imparare l'amore vero e camminare nella gioia e nella forza della tua carità, lungo il cammino della nostra vita faticosa, fino all'incontro finale con Te amato, con Te atteso, con Te benedetto nei secoli.

(card. Montini - dalla lettera pastorale all’Arcidiocesi “Omnia nobis est Cristus” per la quaresima 1955)


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