Il 29 giugno, data tradizionale delle ordinazioni per i francescani, nella chiesa di San Salvatore, il cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme, ha imposto le mani sul "nostro" fra Lorenzo Pagani e fra Mark Vertido Palafox.
Trascriviamo qui l'omelia del Card. Pizzaballa
Carissimi fratelli in Cristo e in s. Francesco, caro padre Custode, il Signore vi dia pace!
è bello ritrovarsi qui in questa chiesa ogni anno a celebrare insieme alla Custodia (nome della Fraternità dei Frati Francescani Minori presenti in Terra Santa a “custodia” dei luoghi di Gesù - ndr) la solennità dei Ss. Pietro e Paolo, solennità speciale per tutta la Chiesa Cattolica, e pregare insieme ai novelli sacerdoti che oggi vengono ordinati per la vita della Chiesa, per il Santo Padre e per tutti noi.
Anche se lo ascoltiamo ogni anno e spesso più di una volta, il brano del vangelo di oggi continua in un certo senso a disturbarci, almeno così dovrebbe essere. La domanda su Gesù infatti non ha mai smesso di interrogare generazioni di credenti e anche di non credenti. Ancora dopo 2000 anni la questione dell’identità di Gesù continua a coinvolgere quanti si interrogano seriamente sulla vita. Gesù non cessa mai di toglierci dalla nostra “comfort zone”, come si dice oggi, soprattutto per noi credenti. E se non ci si pone la domanda su Gesù, se questa domanda non ci disturba, noi credenti intendo, allora forse abbiamo qualche serio problema di fede.
Quella domanda di Gesù ai suoi discepoli, insomma, “Voi chi dite che io sia?” continua a risuonare nel cuore di tanti, sempre, fino ad oggi. In qualsiasi libreria del mondo dove voi entrerete, per fare un esempio, è certo che si possono trovare autori che propongono nuove teorie, a volte interessanti, a volte bislacche, su Gesù, sulla sua identità, sui Vangeli, sulla Chiesa, su chi - a seconda dei casi - avrebbe capito o non avrebbe capito chi è Gesù.
Di solito dicono che noi della Chiesa non abbiamo capito nulla e invece loro hanno capito tutto. Però ovunque andiate, in qualsiasi parte del mondo troverete sempre un libro, qualcosa che parla di Gesù. In fondo, succede ancora oggi quanto abbiamo ascoltato nel Vangelo: per alcuni era Giovanni il Battista, per altri Elia, uno dei profeti.
Questo ci riporta alla conclusione dell’ultimo libro dell’Antico Testamento secondo il canone cattolico, il profeta Malachia, che parla proprio del profeta Elia che sarebbe ritornato a convertire il cuore dei padri verso i figli e il cuore dei figli verso i padri. L’ultimo libro dell’Antico Testamento parla proprio di Elia che dovrebbe ritornare. Il profeta Elia, secondo gli evangelisti, ritornerà infatti e sarà identificato in Giovanni il Battista, non a caso la prima figura del Nuovo Testamento.
Per molti di allora Gesù era l’inviato speciale di Dio, il nuovo Elia, un personaggio affascinante che aveva del miracoloso (faceva miracoli, infatti), ma che restava comunque dentro la capacità di comprensione umana: Dio è altro, non si dovevano confondere i piani. è la tentazione che ciclicamente ritorna sempre: cercare di ridurre il Cristo, il Figlio del Dio vivente, a un inviato speciale, a un personaggio unico, ma umano e basta. Nulla a che fare con il Kyrios, il Signore. Niente Resurrezione.
Non è un caso che in tutti i vangeli questo brano sia legato all’annuncio della morte e resurrezione, alla Pasqua, dove il Kyrios si manifesterà in tutta la sua umanità e in tutta la sua divinità con la potenza della sua Resurrezione, dove cioè la vera identità di Gesù si svelerà completamente. Anche oggi insomma viviamo la tentazione di pensare a Gesù come a un Elia, a uno dei profeti, a qualcuno che possiamo in un certo senso possedere, tenere dentro i limiti della ragione umana e che ci lascia tranquilli, dopo tutto, nella nostra “comfort zone”. Non abbiamo bisogno di chimere come la salvezza: ci salviamo da soli. Non ci serve un salvatore: ci basta tutt’al più un geniale personaggio che ci fa riflettere, certo, ma nient’altro.
Voi invece carissimi fratelli non avete lasciato tutto, non avete abbracciato la vita religiosa solamente per andare dietro ad un uomo qualunque, per quanto affascinante, che ha vissuto qui 2000 anni fa. E non state per diventare sacerdoti, mediatori, luogo d’incontro tra quell’Uomo, semplice uomo, e il mondo. Sareste da compiangere, se fosse così. Voi avete lasciato tutto, la vostra vita è stata cambiata: state invece per diventare sacerdoti, luogo d’incontro, presenza e immagine di un Dio vivente , di Colui che ha portato la Salvezza, di cui ogni uomo e il mondo intero hanno assoluta necessità.
La vita del mondo infatti è segnata dal peccato e ha bisogno di Salvezza, che è il primo annuncio che siete chiamati a portare, con la vostra vita, quando spezzate il pane sull’altare, quando porterete il conforto e il perdono di Dio , quando vi piegherete sulle ferite del mondo, per lenirle col balsamo della consolazione: voi vi farete annunciatori della potenza della Resurrezione di Gesù e non messaggeri di un uomo solamente interessante. Essere immagine di Cristo, però, comporta anche assumere i suoi stessi sentimenti, conoscerlo, diventarne familiari. Un sacerdote non è interessante – invece - quando si occupa di tutto, ha il cuore immerso in tutto, ma non lascia trasparire quella familiarità. Potrete essere perfetti nelle vostre strategie, ma non sarete interessanti se Gesù non vibra dentro il vostro cuore.
Non è utile un sacerdote quando la sua identità di sacerdote di Dio si mischia con le dinamiche del mondo. Il sacerdote si occupa della vita del mondo, certo, ma non gli appartiene. La familiarità con Gesù lo rende vicino, ma anche in un certo senso, diverso. Se non siete diversi, se nella vostra vita non portate un sapore delle cose di lassù, a che vi serve il sacerdozio? A chi interessa conoscervi, se non vedono nei vostri occhi una luce diversa? Non si arriva a tanto da soli, è un dono. “Né carne, né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli”.
Nella vita di preghiera, che dev’essere un appuntamento costante nella vostra vita di sacerdoti, dovrete sempre coltivare questa amicizia, frequentare la Sua Parola, lasciarvi condurre, fidandovi completamente di Colui che ha dato la sua vita per noi. è un dono che va coltivato continuamente, come tutte le amicizie ha bisogno di frequentazione, non si resta amici di persone che non si frequentano abitualmente. Non si è amici di Gesù se non lo si frequenta costantemente, non si è sacerdoti solidi se si costruisce la propria vita solo su sé stessi, invece che affidarsi alla Chiesa.
Questo dono infatti che state per ricevere non è solamente personale, è la Chiesa il luogo dove coltivare questa particolare esperienza. Non legherete o scioglierete pesi dal cuore delle persone da voi stessi, ma sempre a nome della Chiesa, guidata dal successore di Pietro. “Su questa pietra edificherò la mia Chiesa.” Su questa Chiesa, non su voi stessi, sulla vostra idea di Chiesa, non sui nostri-vostri capricci passeggeri, ma sulla e nella Chiesa. Gesù affida a Pietro la vita della Chiesa e il suo desiderio di Salvezza per ogni uomo al debole e impulsivo Pietro, il personaggio irruente che si lancia, che irrompe facilmente sulla scena, colui che confessa Gesù come il Messia di Dio; ma anche colui che vuole fermare il suo cammino verso Gerusalemme.
Pietro è l’uomo titubante e pauroso, che non ha il coraggio di confessare Gesù nel momento doloroso della Passione, tradendolo. Pietro tuttavia, non si spaventa davanti al proprio fallimento, non si ferma e non lascia che il suo peccato gli chiuda il cuore, ma sa stupirsi, sa cercare, sa ripartire anzi correre, anche davanti all’annuncio incredibile del sepolcro vuoto. Anche voi sarete tentati di arrendervi alla debolezza, alla vostra debolezza e anche alla debolezza altrui, che a volte è ancora più difficile.
Anche noi Chiesa di Gerusalemme viviamo la tentazione di arrenderci alla tragica situazione che stiamo vivendo. Dentro questo conflitto che è ormai parte dell’identità della Chiesa, abbiamo anche noi la tentazione di affidarci a un messia solamente umano, come a uno dei profeti, di impugnare la spada, di tenere per sé la propria vita anziché donarla per la vita del mondo nell’Eucaristia come nella vita. Dal tempo della dittatura del sentimento, dove autenticità rischia di far rima con soggettività e verità con ciò che emoziona, la fede non può ridursi a sensazione intimistica, o azione umana o politica, ma deve tornare ad essere scelta convinta e quindi anche convincente che orienta e cambia la vita.
Come Pietro siete chiamati ad uscire dalle ristrettezze del vostro io e dalle opinioni comuni e aprirvi al Tu più grande di noi, il Tu di Cristo, che ci apre al noi della Chiesa. E solo il pronunciare quel “Tu” in mezzo al “noi” della Chiesa ci restituirà la nostra vera identità. “Tu sei Pietro”. Pietro ha ricevuto la sua identità dal Cristo. La vostra identità di sacerdoti scenderà dal vostro incontro con il Cristo. Gesù dovrà dire a voi: “Tu sei Lorenzo, tu sei Mark “. Non sarà un’identità rigida, chiusa, escludente da opporre all’identità altrui, ma sarà un’identità ricevuta in dono, purificata dall’amore a forma di Croce, disposta a trasformarsi in servizio perché tutti si ritrovino fratelli.
Carissimi fratelli e sorelle, oggi la Chiesa di Gerusalemme è in festa perché due nuovi sacerdoti si sono uniti alla schiera di coloro che vogliono fare propri i sentimenti di Cristo e diventare nella nostra Chiesa portatori di salvezza, annunciatori di un modo altro di stare nella vita del mondo. Il modo di chi, senza temere tradimenti e debolezze ha sperimentato sulla sua pelle la gioia della Salvezza di cui ora è convinto annunciatore. Possa la vostra vita essere sempre segnata da questa serena consapevolezza … e auguri!
+ Card. Pierbattista Pizzaballa
Patriarca di Gerusalemme dei Latini
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