Don Alberto Galimberti - che tanti di noi conosciamo per il suo ministero a Sant’Edoardo in oratorio - ci ha scritto una lettera per raccontarci dei suoi “primi passi”. La pubblichiamo volentieri perchè è davvero “una buona parola”.
Blinisht, 24 ottobre 2021
Carissimi amici,
nel mese di ottobre, mese missionario, è d’obbligo per chi è in missione scrivere alle persone che conosce e alle comunità che ha incontrato per raccontare come vive la sua attività missionaria. Così mi succedeva quando ero in Italia: ricevevo puntualmente lettere dai missionari della Parrocchia e le facevo conoscere alla comunità. Ora tocca a me. Quindi, vinta una certa pigrizia, sfruttando i momenti in cui c’è l’elettricità, mi metto a scrivere per raccontarvi qualcosa degli ultimi mesi di questa nuova esperienza.
Inizio con un ricordo.
Esattamente un anno fa, sabato 24 ottobre 2020, dopo due turni di Cresime nella mia Parrocchia di Rho, nel Duomo di Milano durante le Veglia Missionaria ricevetti dall’Arcivescovo Mario il mandato missionario attraverso la consegna del Crocifisso. Fu una giornata molto intensa. Anzitutto ho avuto il dono di poter completare il cammino nella Parrocchia di S. Giovanni amministrando a nome del Vescovo il Sacramento della Cresima ai ragazzi che avevo accompagnato per diversi anni. Poi ho avuto la gioia di poter ricevere dal vescovo il crocifisso che esprime il mandato missionario. Questo piccolo crocifisso che porto al collo mi ricorda sempre che sono qui in Albania perché inviato dal mio vescovo e dalla chiesa di Milano ma anche che la mia missione ha un cuore: l’amore di Gesù crocifisso e risorto, è questo il messaggio che porto e la forza che mi sostiene.
Dopo l’intenso periodo trascorso in Italia nella prima metà di giugno i mesi successivi sono volati via velocemente in un succedersi di esperienze per la maggior parte assolutamente nuove. Seppur brevemente vi racconto quanto ho vissuto. Nei mesi di giugno e di luglio ho vissuto l’esperienza dei campi estivi nei villaggi, la missione in montagna e i campi estivi dell’Associazione Ambasciatori di Pace. I campi estivi nei villaggi sono una specie di Oratorio Estivo: in ogni villaggio della missione si fa una settimana di oratorio, solo pomeriggio, con un tema guida scelto da noi. Sono giorni di aggregazione, di gioco e di formazione. I numeri non sono quelli degli oratori milanesi ma i ragazzi vengono quasi tutti e vivono questi giorni con gioia. Con l’Associazione Ambasciatori di Pace, che ha sede nella missione ed ha una finalità di educazione e di apertura al sociale, abbiamo organizzato un campo estivo residenziale per educatori (18enni e giovani) e diversi campi estivi per i ragazzi, in genere pomeridiani, dislocati nei villaggi della zona e nella città di Lezhe.
Nelle diverse esperienze abbiamo cercato di aiutare ai ragazzi e giovani ad essere attenti a quello che incontrano nella loro vita e a guardare al futuro con un sogno e un progetto. L’esperienza della “Missione estiva in montagna” è stata per me una cosa assolutamente nuova per cui spendo qualche parola in più. La Diocesi di Sapa si estende per buona parte nella zona montuosa dell’Albania settentrionale fino al confine con il Kosovo, dove si trovano molti villaggi a cui non è possibile garantire una cura pastorale durante l’anno. Le strade impervie e l’inverno freddo e nevoso costituiscono un notevole ostacolo per lunghi periodi dell’anno. Una piccola comunità di suore è l’unica presenza religiosa in una vasta area molto vasta. Pertanto la nostra Diocesi chiede ai preti e alle parrocchie della pianura di fare una vera e propria esperienza di missione in queste zone.
Anche dalla nostra missione siamo partiti in un gruppo di una dozzina di persone, prete, suore, giovani, per vivere due settimane di missione estiva in montagna. Abbiamo fatto visita alle famiglie e portato la benedizione nelle case, nei villaggi più grandi i giovani hanno fatto un po’ di attività di oratorio, nei villaggi più piccoli abbiamo preparato ragazzi e adulti alla celebrazione dei sacramenti. Non immaginavo che ci fossero famiglie che ancora oggi vivono in piccoli gruppi di case lontane da strade, paesi, scuole e ospedali. Vivono di quello che hanno, campi e animali, a volte in condizioni dignitose, a volte in situazioni di povertà. Sono villaggi che si stanno svuotando per via dell’emigrazione verso le città, ma ci sono ancora famiglie che vivono in quei luoghi. Abbiamo sperimentato un’accoglienza molto calorosa e in molti casi siamo stati travolti dal loro bisogno di raccontare e di confidare qualcosa della loro vita, delle loro fatiche e dei loro problemi.
Straordinaria è stata la conclusione della settimana nel villaggio di Tetaj, dove in un’unica Messa ho celebrato 6 Battesimi, 7 Prime Comunioni, 6 Cresime, 2 matrimoni, tutto in un clima di estrema semplicità, senza vestiti particolari, senza pranzi o grandi feste. La festa era nel cuore e la location era il giardino del cimitero, perché a Tetaj la chiesa non c’è. Abbiamo vissuto insieme un avvenimento dello Spirito.
Una nota speciale per i paesaggi che avvolgono questi villaggi: montagne, laghi e boschi sono davvero meravigliosi. Agosto non è stato tempo di vacanze. I villaggi di pianura si sono improvvisamente riempiti di emigranti rientrati dall’Italia e dall’Europa, le città di mare erano piene di turisti (soprattutto dal Kosovo) e le strade bloccate da un traffico impressionante. Dopo un anno e mezzo di pandemia gli albanesi che vivono all’estero hanno potuto finalmente tornare in Albania, le famiglie si sono riunite e in molti hanno chiesto di celebrare i Battesimi e Matrimoni. Da fine luglio fino a metà settembre ho preparato e celebrato molti Battesimi e diversi Matrimoni, soprattutto di albanesi residenti all’estero. E’ stata l’occasione per incontrare persone ormai da tempo all’estero ma che conservano un legame con la terra in cui sono nati e cresciuti, ma anche per conoscere come nella tradizione albanese si vivono i grandi momenti della vita: nascita, matrimonio, morte. Devo dire che sono davvero particolari e hanno le loro ragioni storiche.
Con la metà di settembre sono riprese le attività ordinarie nei villaggi: qualche momento di formazione degli educatori, l’inizio della catechesi dei ragazzi, qualche momento spirituale per gli adulti, l’inizio del doposcuola e di alcuni corsi di musica due villaggi. Ma proprio mentre si inizia un nuovo anno sono venuto a sapere che famiglie e giovani, che magari avevo conosciuto, sono partiti, sono andati all’estero, soprattutto in Italia o in Grecia. Sono andati in cerca di un lavoro e di un futuro migliore per sé e per i propri figli: si appoggiano a parenti e amici e sperano di farcela. E’ una situazione diffusa. Qui in Albania il lavoro è poco e malpagato, i servizi sono scadenti, le opportunità poche, allora si cerca una sistemazione migliore lontano dalla propria terra, che si impoverisce sempre più. E’ un fatto che rattrista e che racconta di un popolo che non ha speranza per il futuro.
Per conoscere meglio la gente dei villaggi ho fatto la scelta di iniziare subito la visita alle famiglie per la benedizione delle case. Mi sono presentato con una lettera e pian piano giro di casa in casa accompagnato da una suora o da un laico che conoscono la realtà e mi aiutano con la lingua. Ci vorranno molti mesi perchè riesca a visitare le famiglie di tutti i villaggi. Anche entrando in casa di qualcuno bisogna onorare l’ospitalità: ogni famiglia in segno di accoglienza offre qualcosa da bere, a volte da mangiare, si parla un po’ poi si prega e si benedice…
In questo periodo non sono poi mancate le partite di calcetto con i ragazzi o i momenti di vita e di festa con le ragazze della casa famiglia “Casa Rozalba”, tra cui la visita del cantante Ermal Meta in Albania che ci ha regalato un pomeriggio di gioia.
Dopo 11 mesi dal mio arrivo in Albania non so ancora bene cosa voglia dire fare il missionario né quali attività o progetti dovrò immaginare per il futuro. Per ora vivo la missione in modo semplice ed essenziale: cerco di essere vicino alla gente con attenzione e rispetto, annuncio il Vangelo che è parola di gioia e di speranza per ogni uomo, offro il dono dei sacramenti come grazia che sostiene e rinnova la vita, cerco di aiutare chi è nel bisogno.
Mi accorgo che sono chiamato ad aprirmi in modo nuovo all’altro, superando la distanza dovuta alla lingua e alla cultura, e a vivere l’incontro con questa terra e con questa chiesa come uno scambio di doni: quello che io porto con la mia presenza e quello che loro mi offrono con la loro vita, la loro fede e la loro storia. Mentre vi ringrazio per la vicinanza che in molti modi mi dimostrate vi chiedo di pregare per me e per le mie comunità.
A tutti un caro saluto.: “Ju ruajt Zoti!” (Il Signore vi custodisca)
don Alberto Galimberti
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