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OMELIA 1° GENNAIO 2021

Ecco l'omelia di don Antonio, splendida come al solito, all'inizio di questo nuovo anno. Tre inviti e/o auguri per questo inizio, a partire dal Messaggio di Papa Francesco per la Giornata Mondiale di preghiera per la Pace.

Delle buone letture che servono per farci gli auguri, queste che abbiamo appena ascoltato.

Sicuramente ci invitano e ci augurano almeno queste tre cose.


Primo: auguriamoci, in questo anno, di percepire lo sguardo di Dio. Avete sentito la prima lettura? Quante volte ci ha ricordato il volto di Dio. Quando il sacerdote benediceva il popolo, la prima lettura infatti racconta come veniva fatta, liturgicamente, la benedizione del sacerdote nei confronti del popolo. Ecco, che cosa si augura, che cosa si bene-dice? Si dice bene del popolo perché si dice che il popolo sarà guardato da Dio. Il volto di Dio sarà su di lui. “il Signore faccia risplendere per te il suo volto”, “Il Signore rivolga a te il suo volto”. Ecco, allora auguriamoci di percepire il volto di Dio, lo sguardo di Dio, perché questa è una verità che va detta, che va detta all’inizio dell’anno e che va detta alla fine di un anno come quello che abbiamo trascorso. Ecco, Dio ha cura di noi, è il suo mestiere.

Il messaggio che papa Francesco ha scritto in occasione del 1°gennaio che, da un po’ di anni a questa parte, è dedicato alla preghiera per la pace, quest’anno ha questo titolo: “La cura è il principio della pace” e, nella prima parte, fa proprio vedere come Dio, da sempre, si è preso cura di noi. Va detto, eh! Va detto! Perché la pandemia potrebbe averci fatto pensare che, invece, Dio abbia voluto approfittare di noi, abbia voluto azzerarci, abbia voluto questa cosa… no! Un cristiano non pensa così, perché sa che il suo Dio - il nostro Dio - che è ha quel nome lì, cioè Gesù, si prende cura di noi. È quel bambino e quel crocifisso che si prendono cura di noi, che ci raccontano quanta cura ha Dio ha per noi. E i latini, sapete cosa dicevano della cura? Dicevano questo: “Che cos’è la cura? Chi si prende cura? Quis curat?” e la risposta era questa (ve la dico in latino perché è più bella): “Quia cor urat”, “Chi gli brucia il cuore”, cioè: “Io mi prendo cura di te perché il mio cuore brucia per te!”. E, se io penso ad un Dio astratto, questa cosa non la penso; ma, se io penso a un Dio crocifisso e a un Dio bambino, vedo quanto il cuore di Dio brucia per me. Perché Dio non vuole il male. Dio è capace di volgere il male in bene, Dio è capace di resistere al male, Dio è capace di guardare in faccia il male, come ha fatto sulla croce - e non certo mandando fulmini a destra e a sinistra -, Dio è capace di farci combattere il male, Dio è capace di bruciare il male. E, siccome il suo cuore brucia per noi, lì ci possiamo bruciare il male. Il male non si vince con altro male, il male si vince con il bene; e questo va detto, perché, se no, entriamo in un cortocircuito che potrebbe essere molto pericoloso (perché lo è sempre stato nella storia della Chiesa e nella storia del mondo) e cioè di provare a pensare che Dio voglia il male. È il segreto del peccato originale, no? Il famoso serpente cosa ha insinuato negli uomini, in Adamo ed Eva? Non è una storiellina quella roba lì, è una cosa che si ripete ogni spesso. Ha insinuato il sospetto che Dio potesse volere un po’ il male degli uomini. Ma noi, di fronte al Dio che chiamiamo Gesù, questa cosa non possiamo dirla. Quindi vi auguro di percepire uno sguardo buono di Dio, sempre e comunque. Ed è la nostra certezza.


Ancora, vi auguro e ci auguro di custodire quello che viviamo. Questo è un altro verbo che è comparso almeno due volte nelle letture di oggi, brevi ma intense. Nella benedizione: “Il Signore vi benedica e vi custodisca” e poi abbiamo ascoltato di Maria che “Custodiva tutte queste cose” – in realtà la parola giusta sarebbe “tutte queste parole-che-diventano-fatti, parole-che-si-vedono”. E come fa a custodirle? Le medita. Ma il verbo originale è più bello, perché il verbo originale dice “le metteva in ordine”. Le custodisce e le mette in ordine.

Ecco quello che ci auguriamo, quello che ci augura Dio, quello che vi auguro io, e mi auguro anche. Di dare un ordine, di dare un’importanza, di dare un valore, di imparare, cioè – anche qui: a me piace pensare che voglia dire questo, non so se sia l’etimologia giusta – imparare in latino vuol dire prepararsi, in vuol dire dentro. Mi auguro che quanto ho vissuto, quanto abbiamo vissuto nello scorso anno, noi possiamo, alla luce di Gesù, custodirlo e ordinarlo, dando importanza a ciò che abbiamo vissuto, perché non mi pare che Dio voglia che noi sciupiamo quello che abbiamo vissuto. Le esperienze che noi facciamo sono troppo importanti, perché fanno parte di noi, ci costruiscono. Un geniale cartone animato diceva che la nostra coscienza è fatta a strati, è come la cipolla, ogni strato è un’esperienza che uno vive, e noi non possiamo sfogliare gli strati brutti, perché alla fine cosa ci rimane? E poi fanno parte di noi proprio. Ci sono costati. Dio non vuole che sciupiamo le nostre esperienze, questo vuol dire prendersi cura di noi. E anche questo il papa lo dice bene nel suo messaggio, ci suggerisce che questa cosa va fatta a tutti i livelli, personale, di famiglia, di società, anche a livello di comunicazione. Non si può liquidare troppo in fretta un anno perché è stato difficile. Poi anche questo: un conto è dire che è stato brutto, un conto è dire che è stato difficile, un conto è dire che è stato faticoso. Sappiamo tutti che la fatica è ciò che dà valore alle cose che facciamo. Anche un piatto di lasagne: se non ci costa fatica non è buono! E noi vorremmo buttar via tutta la fatica che abbiam fatto lo scorso anno?! Saremmo così sciocchi?! Il salmo dice che il Signore raccoglie le lacrime nel suo otre. Quante lacrime sono state versate lo scorso anno? Dobbiamo sciuparle? Dobbiamo buttarle via? A me pare che Dio non voglia che noi sciupiamo le nostre esperienze; vuole che ci prendiamo cura, che custodiamo ciò che viviamo, e gli diamo un ordine, un nome magari.


Ecco, appunto, questa è l’altra cosa che ci auguriamo: che sappiamo custodire, oltre ciò che viviamo, soprattutto ciò che siamo, visto che ciò che viviamo, ci fa e forma la nostra identità.

Auguriamoci di custodire quello che siamo, la dignità della nostra persona, la dignità di ciascun uomo. Questo vuol dire il riferimento al nome, che c’è in tutte le letture abbiamo ascoltato stasera. Il nome, per la Bibbia, è l’identità. Il nome “Gesù”, sapete, vuol dire “Dio-salva”. Appunto, chi è Gesù? È Dio che ci salva! Addirittura, nella benedizione si dice questa cosa bellissima, anzi è la conclusione della benedizione: quando tu benedici una persona, cosa fai? “Poni il nome sugli israeliti”, poni il nome su di lei. Gli dai un nome. Infatti, non c’è parola più buona da dire a una persona che il suo nome. Ricordo sempre lo schiaffetto che mi diede mia mamma quando la chiamai “OH”! “Oh” …SPAM! …Il nome è il nome! Il nome dice la persona. E nessuna persona è un “oh”, e neanche un numero; e noi sappiamo il rischio quanto corriamo di diventare o un’identità imprecisa oppure un numero. Ecco, auguriamoci, invece che la nostra identità sia salvaguardata, auguriamoci di custodire la nostra dignità, e quindi la dignità di ogni persona. Il papa dice che se tu custodisci la dignità di una persona allora poi ti prenderai cura del bene comune, sarai capace di solidarietà, sarai capace di prenderti cura del creato. Perché è una cascata di bene. Una volta che tu ti prendi cura della dignità della tua persona e della persona che hai di fianco, una cascata di bene sorge. Infatti, da quello che ci risulta anche dalla festa di oggi, Dio vuole essere chiamato per nome: Lui [Gesù]. Infatti, io mi auguro che – dopo questa messa – quando parlate di Dio, non parliate di un Dio astratto, ma di quel Dio che ha il nome al di sopra di ogni altro nome, davanti al quale ogni ginocchio si pieghi, nei cieli, sulla terra e sottoterra. E il nome è Gesù.

Quando uno dice il nome Gesù, tutte le filosofie su Dio devono fare i conti con qualcosa di ben concreto!

Allora: Dio vuole essere chiamato per nome e mi pare che voglia pure che noi ci chiamiamo per nome! E, se andate a vedere la famosa storiella della Genesi, vi accorgerete che la prima cosa che Dio chiede agli uomini è di chiamare ciascuno per nome, di chiamare ogni cosa per nome, cioè di dare a ciascuno la dignità che si merita o - forse - anche che gli spetta.


Ecco, auguriamoci questo per quest’anno.

Auguriamoci di percepire lo sguardo di Dio, e quindi di non aver paura di combattere il male, qualunque esso sia.

Auguriamoci ci custodire quello che viviamo per non disperdere e sciupare le esperienze che abbiamo.

Auguriamoci di custodire sempre la dignità delle persone, della nostra persona, delle persone e anche delle persone di Dio, cosa che ci aiuta a mettere ordine e a dare a valore a ciò che siamo e a ciò che facciamo.


don Antonio Corvi


Riproduzione riservata ©

(Trascrizione non rivista dall’autore)


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