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OMELIA di domenica 29/03/2020 - don Antonio Corvi

Trascriviamo qui l'omelia commovente e profondamente vera di questa mattina del nostro caro parroco don Antonio, che ha toccato il cuore di molti.



È proprio un po’ paradossale che chi dà la vita alla fine, proprio perché dà la vita, perda la vita.

Gesù è così: uno che ci dà la vita (e la dà proprio!) perché la tira fuori di sé, la mette nelle mani di dio e nelle nostre mani, però intanto ci fa vivere.

È un po’ un paradosso continuo, è vero, però questo brano è tanto bello, perché ci dice come si comporta Gesù di fronte al male del mondo e anche di fronte alla morte, che è il male più grosso del mondo, che è entrata nel mondo -dice il libro della Sapienza- per invidia del diavolo e ne fanno appartenenza coloro che gli appartengono. Perché in questo brano, se guardate bene attentamente, non è che risorge Lazzaro, Lazzaro riprende a vivere, qui chi risorge, chi vive veramente (perché la resurrezione è questa, la resurrezione è la vita “Io sono la risurrezione e la vita”, la risurrezione è la vita. Chi vive veramente sono le due sorelle. E se andate a contare guardate che Marta e Maria ricorrono esattamente 8 volte tutt’e due, mentre Lazzaro solo 6. E 6 sappiamo che è il numero dell’imperfezione. Maria e Marta vivono. Questo brano è tanto bello perché ci dice appunto come Gesù si comporta di fronte al male del mondo, di fronte alla morte. A me francamente viene anche un po’ da dire che è un po’ superfluo il commento dopo che tutti noi -spero- abbiamo visto quello che è capitato venerdì. Perché abbiamo proprio visto fisicamente rappresentarsi sotto i nostri occhi cosa vuol dire affrontare il male del mondo. La preghiera che ha fatto papa Francesco davanti alla piazza vuota, le parole del Vangelo che ci ha non soltanto detto, ma ci ha proprio rappresentato al vivo, penso che siano il miglior commento a questo brano di vangelo. Per me è stato come vedere Gesù di fronte alla morte di lazzaro. E che cosa fa Gesù di fronte alla morte di lazzaro? Se ci atteniamo al testo, ci ritroviamo perfettamente. Innanzitutto, ama. Perché se c’è una cosa che Gesù non smette di fare è proprio amare. C’è una frase proprio all’inizio che dice il motivo di tutto: “Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro”. E quel verbo lì, amare, qui capita una volta sola, ma è lo stesso che poi nei capitoli in cui si racconterà dell’ultima cena, della morte di Gesù, continuerà a dire Gesù, il verbo amare: “Amatevi come io vi ho amato”, “Sapendo che aveva amato i suoi che erano nel mondo, lì amò sino alla fine”. Ecco, questo verbo. Gli altri non arrivano a cogliere quanto Gesù amasse Maria, Marta e Lazzaro, perché dicono (è vero che il Vangelo in italiano ce lo traduce “amare”, ma in realtà “Signore ecco, colui che tu ami è malato”, ma sarebbe “colui di cui tu sei amico è malato”, e anche dopo “guarda come lo amava”, in realtà sarebbe “guarda come era amico!”). ma Giovanni, che scrive il vangelo, sa che qui Gesù è più che amico, ama. Ecco, è l’amore che ci fa vivere, ecco perché la risurrezione o la ripresa in vita di Lazzaro (sarebbe più giusto chiamarla così) è un segno che ci dice (perché a Giovanni piace dire che i miracoli sono segni) “guarda quanto l’amore fa vivere”, è l’amore che fa vivere! Ieri chattavo con una brava signore, che in realtà conoscete tutti, che mi diceva proprio questa cosa qui: la bibbia, nel Cantico dei Cantici dice “Forte come la morte è l’amore”, san Paolo dice che dove è sovrabbondato il peccato, il limite, la morte, ha sovrabbondato la grazia. Allora diciamo che più forte della morte è l’amore. E questo ce lo dobbiamo dire. Perché venerdì penso che abbiamo visto tutti l’amore, in un pezzo di pane, in un volto crocifisso, nello sguardo vivo di papa Francesco con cui guardava il mondo, il mondo desolato. Ecco penso che in un periodo come questo va detto che di fronte al male, di fronte alla morte, si può continuare ad amare. Certo, si fa molta più fatica, però si può continuare ad amare. Forse per questo che alla sera -non so voi- ma si arriva proprio stanchi perché anche il cuore deve battere di più per colmare la distanza che questo situazione ci ha messo tra l’uno e l’altro. Allora alla fine è più stancante però è vero anche questo, che non c’è niente che ci impedisca di amare. Anzitutto è quando uno proprio si ritrova a dover dire “Io non mi sento amato, non mi trovo amato, nessuno mi trova”. Qui si dice che Gesù incontrò Lazzaro, ma in realtà il testo originale è “Gesù trovò”.

E poi il secondo verbo è bello. Gesù quando arriva lì davanti alla tomba si commuove profondamente, così ci dice il vangelo, ma c’è un verbo più bello in greco perché dà l’idea dello sbuffare. Come se dicesse “uffa”, perché l’amore sbuffa di fronte al male, si adira contro il male, non lo tollera il male. L’ira di Dio è contro il male del mondo. Questa è l’ira di Dio. l’ira di Dio non condanna il mondo, va contro il male del mondo. Questo va detto. Perché anche Gesù sbuffa, e dice “uffa”. “Perché? Siamo stanchi! Non ti svegli, Gesù?” diceva papa Francesco assumendo la voce dei discepoli. Stanchi di dover lottare contro questa tempesta arrivata all’improvviso.

E poi c’è una terza cosa che fa Gesù. Quando poi arriva davanti alla tomba, innanzitutto lacrima, qui dice “pianse”, il verbo greco è quello che dice la lacrima che ti scende. Non so se avete presente venerdì sera, a me è piaciuto tantissimo anche un piccolo particolare: vedere la pioggia che scendeva sul crocifisso. Parevano proprio le Sue lacrime. Perché di fronte al male del mondo si piange, se no si diventa disumani. E il pianto è una resa, oppure è l’affermazione della nostra piccolezza, oppure la condivisione di un dolore. A me piace proprio pensare che queste lacrime che siano scese sulla guancia di Gesù siano proprio arrivate a quella fessura della pietra che chiudeva la porta del sepolcro, però lì è entrata quella lacrima e ha fatto risorgere Lazzaro. C’è una scena di un film che mi piace tantissimo (solo questa scena, il film mi piace un po’ sì e un po’ no), “The passion”, quando muore Gesù, la telecamera si sposta e da sopra sembra di vedere il calvario come se fosse un occhio, l’occhio di Dio che sta guardando suo figlio che muore, a un certo punto parte una goccia. Questo a ricordarci che Dio ha la potenza di salvarci dalla morte eterna, ma ci salva NELLA morte, la prende proprio su di sé e ci passa in mezzo, proprio come questa goccia d’acqua. Sotto il calvario, a Gerusalemme (speriamo un giorno, prima o poi, di andarci tutti insieme) c’è un posto che mi piace moltissimo. Mi piace un poco rifugiarmi, lo faceva san Francesco e quindi gli ho rubato l’idea. Sotto il calvario c’è una grotta che la tradizione dice essere la tomba di Adamo, e questa grotta viene raggiunta da una crepa che parte proprio dal punto in cui la croce di Gesù è stata infissa nella roccia, lì dal terremoto che c’è stato dopo la morte di Gesù -ci dice la tradizione- si è aperta questa crepa e questa crepa ha raggiunto Adamo: l’uomo! E a me piace pensare che le lacrime che ha pianto Dio, che ha pianto Gesù, siano arrivate fino lì, perché le nostre lacrime salvano! Sono piene di sale, non sono acqua semplice, e le lacrime di Gesù hanno salvato il mondo.

E poi alza gli occhi, Gesù, di fronte alla tomba guarda Dio e gli chiede di essere ascoltato, anzi sa di essere ascoltato, confida di essere ascoltato. Perché il male lo si guarda negli occhi. Di fronte al male, tante volte noi abbassiamo gli occhi, invece no. Il male lo si guarda dritto e poi si alza gli occhi per chiedere a Dio di vederlo come lo vede lui, e se Dio lo vede, lo vede dall’alta, vuol dire che intuisce i limiti del male, perché il male ha limiti! La morte non è la fine. Dio potrebbe anche rendere la morte il con-fine tra noi e lui, dove noi stiamo insieme con lui; Dio potrebbe rendere il nostro limite, il nostro male addirittura, come il confine, dove noi stiamo insieme. Anche il mio peccato, vedete, può diventare il confine dove arriva la grazia e mi prende per mano, mi dà la sua mano. E la grazia può darci la sua mano anche in questi tempi in cui non ci si può toccare e bisogna tenere le distanze.

E poi Gesù grida. Perché anche il silenzio grida. Venerdì il silenzio di papa Francesco gridava tantissimo, gridava anche più del silenzio della piazza, e forse le campane e le sirene che suonavano insieme hanno dato veramente l’idea di un grido, e di una voglia di lottare insieme perché ci si ama. Infatti l’amore grida. E Gesù grida qui davanti a Lazzaro; e tra l’altro lo chiama per nome, perché Gesù non è che grida per sgridare, quello è un grido che non funziona. Tra l’altro anche quando si grida troppo non si ottiene mai niente. Gesù grida qui con Lazzaro e grida sulla croce, se ci ricordiamo bene del Vangelo. Quindi Gesù quando ama. Il grido di Gesù è un grido di amore, è la parola di amore che vince su tutto, anche sul silenzio sembra costringerci, il silenzio in cui il male sembra costringerci. No! Lui grida!

Ecco, chiediamo a Dio che il male del mondo non ci impedisca di amare. Chiediamo a Dio questa grazia. Sapete perché Gesù è risorto e ha vinto la morte? Perché ha amato. Non c’è motivo più grande di questo. Gesù ha amato e quindi ha vinto la morte. Gesù è stato amato e quindi ha vinto la morte, ha vinto il limite; il limite è diventato un confine, cioè una fine dove ci si incontra, questa è la speranza più bella che possiamo ricevere proprio guardando la croce e -permettetemi- anche ascoltando il silenzio, quello che c’era venerdì, quello che c’è nelle nostre case, nel cuore di ciascuno, nei nostri ospedali in questo tempo, che c’è anche in Dio, il quale -a volte- tace e il Suo silenzio ci fa un po’ male ma, forse, se ascoltiamo veramente, se apriamo le orecchie, se ci lasciamo toccare, se ascoltiamo (che è un verbo che in questo brano di Vangelo c’è ovunque, provate a vedere se non è vero!) forse ritroviamo la parola Amore, e non soltanto la Parola.


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