Trascriviamo l'omelia di don Antonio, pronunciata al termine della Via Crucis del venerdì santo, di nuovo lungo le strade del quartiere, dopo questi anni di pandemia.
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OMELIA
Si imparano tante cose ad andare dietro alla croce.
Si imparano tante cose a guardarla.
Si imparano tante cose quando muore un uomo. Quando si ha la fortuna di vedere un uomo che muore bene, si impara molto di più.
Cosa mai impareremo, allora, da un uomo che ci vuole bene? anzi, da un Dio che ci vuole bene e per volerci bene si fa uomo? Quanto impareremo dalla sua morte?
Oggi abbiamo imparato a camminare insieme, abbiamo anche ripreso a camminare insieme, ed è stato una grande cosa farlo dietro alla croce di Gesù.
Oggi abbiamo imparato che, per camminare insieme ci vuole fiducia. Ci vuole fiducia nel senso che ci è donato, come ci è stato detto, della fede. Per camminare insieme ci vuole fiducia in Dio, certo, e in chi è con noi. E Dio è con noi. E non solo. La fede ha un grande plusvalore: è quello di garantire la comunione “delle fiducie”, della fiducia che ciascuno di noi vuole metterci, in Dio e negli altri.
Provate a pensare che rete straordinaria sarebbe quella fatta dalle fiducie di ciascuno che si intersecano, quale bella comunità ne verrebbe fuori.
Per camminare insieme ci vuole anche, e oggi l’abbiamo imparato, il coraggio di ammettere i propri errori, guardandosi in faccia, non allo specchio. Ma guardandoci in faccia, come ha fatto Pietro, perché si rende conto a qualcuno.
Nessuno si rende conto di dov’è, di chi è, di che cosa può fare se rende solo conto a sé stesso. ma quando, come Pietro, qualora anche avessimo sbagliato, ci decidessimo a rendere conto a Dio e avessimo allora il coraggio di ammettere i nostri errori, come sarebbe più facile camminare insieme, e non da soli!
La fede ha un altro “di più” di valore, che è la responsabilità. Un cristiano praticante è un cristiano responsabile, se no non è cristiano.
Per camminare insieme, ci vuole poi la condivisione, che non è solo regalare degli spiccioli all’altro, che non è fare una donazione, è molto poco. E non è neanche esserci lì, accompagnarsi è poco. Esserci è necessario, ma è poco. Perché la condivisione è stare nei panni degli altri. è mettersi nei panni degli altri, come ci ha insegnato Simone di Cirene. È l’empatia, la chiamiamo noi, sì: cosa vuol dire “empatia”? Vuol dire che tu entri (em) nello spirito (pathos) dell’altro, e ti metti su i suoi vestiti, allora non gli puoi dare briciole, perché tu non tolleri che qualcuno ti dia briciole, tu desideri che qualcuno ti ami, ed è ben diverso. Per noi cristiani, la tolleranza è molto poco, è il minimo sindacale, ma nessuno di noi vuole tollerato, noi vogliamo essere amati, e Gesù ce lo insegna: per camminare insieme non basta tollerarsi, occorre entrare nei panni degli altri, avere lo stesso passo.
E, come se non bastasse, per camminare insieme, abbiamo scoperto stasera che ci vuole anche parecchia tenerezza, che è l’attenzione spiccia all’altro, l’attenzione piccola, perché il Regno dei cieli è dei piccoli, non è mica dei grandi! Perché chi è fedele nel poco è fedele nel molto, ma non è vero il contrario. E guai a noi se disprezziamo i piccoli segni, i piccoli gesti e le piccole attenzioni e i piccoli dettagli. Tutti sappiamo che lo stile è una questione di dettagli e non c’è come il cristiano per imparare uno stile nuovo, fatto di dettagli, fatto di tenerezza.
E abbiamo imparato che noi abbiamo una meta grande, e che nessuno cammina insieme così a vanvera, ma come abbiamo fatto stasera sì: dietro a una croce, a tante croci, dietro le nostre croci, perché le nostre croci hanno una meta più grande che è questa (ndr. Indica il crocifisso) che abbiamo sotto gli occhi oggi, ed è un peccato non potergli dare ancora un bacio. La meta è grande, la meta vuole essere Gesù, e guai a noi se ci pieghiamo a delle mete più piccole, perché obiettivi piccoli rendono le persone ferme, immobili, induriscono i cuori, li rendono piccoli, meschini. E non si cammina insieme quando si è attenti alle proprie meschinità.
E abbiamo scoperto stasera, infine, che per camminare insieme forse è meglio andare oltre la folla e oltre la folla cosa c’è? C’è un motivo, un motivo vero, un motivo solido, un motivo che non è la folla: “come fanno tutti”. Noi non camminiamo come fanno tutti; camminiamo perché qualcuno ci ha dato delle gambe e ci ha dato un obiettivo. E camminiamo perché qualcuno ci ha dato l’esempio, infatti ci ha detto “Amatevi COME io vi ho amato”.
Senza un motivo c’è la folla, con un motivo c’è l’assemblea, e le cose non sono proprio simili. Noi desideriamo essere un’assemblea che cammina insieme. Desidereremmo proprio sotto la croce, almeno, desiderare. Desidereremmo desiderare di essere una comunità, che cammina insieme e che non vuole assolutamente sentirsi sola. Che cammina insieme a Gesù e che non vuole essere fatta di tanti singoli, ma vuole proprio crearsi come una famiglia, che rende più facile prendere su di sé la propria croce, ma che rende anche più semplice risorgere ad una vita nuova, ad una vita diversa, ad una vita vera, ad una vita più autentica.
don Antonio Corvi
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